Quando lo sport è una lotta perigliosa per i diritti umani
Una partenza, quella di Johnson, che gli consentiva di darsi la spinta iniziale con entrambe le gambe contemporaneamente, raddoppiando la potenza sviluppata in partenza e che si univa ad un tempo medio di reazione allo sparo straordinariamente basso. Con queste premesse il sogno di Carl Lewis di ripetere il poker di ori anche a Seul un anno dopo era messo in serio pericolo da quella montagna di muscoli, che si metteva in moto prima di tutti e che non lasciava spazio a rimonte. Sapevamo che il doping nell’ex Ddr (Repubblica democratica tedesca) aveva creato dei “mostri”.
Quando invece si guarda un bodybuilder, magari un professionista, la sua mole fisica non può passare inosservata, nè può lasciare dubbi su come sia stata costruita. Morire di doping, dicevamo, è considerato quasi un’infamia, di conseguenza affermare che qualcuno è morto a causa delle sue scelte, dell’incapacità di resistere alla tentazione delle sostanze dopanti, è visto come una provocazione. Malgrado tutti sappiano di cosa è morto e conoscano le ragioni che hanno determinato questo evento, molti si ostineranno a negare, contrapponendo a un dato di fatto una serie di obiezioni che servono solo a sviare dall’argomento, ma riuscendo esclusivamente a ridicolizzare un evento drammatico.
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A ben guardare, il doping è un fenomeno diffuso in modo capillare, non risparmia nessuna categoria di sportivo, dai ciclisti ai pugili, dai tennisti ai maratoneti, dai nuotatori finanche a chi compete nel tiro con l’arco, passando per i calciatori, i pallavolisti, e su su sino ai bodybuilder. Morire di doping è un’infamia, ed è considerato infamante sopratutto da chi utilizza sostanze dopanti. La storia dello sport è piena di questi duelli, ma la sfida tra il figlio del vento, Carl Lewis, e il canadese di adozione Ben Johnson nei 100 metri a Seul 1988, andò oltre. Il trionfo di Ben Johnson durò tre giorni, giusto il tempo, per la federazione internazionale, di rendere noto i risultati degli esami antidoping che inchiodarono il velocista canadese, costringendolo a restituire le medaglie e a fuggire.
- Jackie fin dall’inizio fece di tutto per assecondare il suo smagliante marito e rendersi irresistibile ai suoi occhi, imparando persino a cucinare (con risultati mediocri), a praticare bridge e golf (tanto amati da lui quanto detestati da lei), ad aspettarlo fino a tarda notte e a non fare domande al suo rientro a casa.
- Fast & Furious 9 – The Fast Saga sarà distribuito con alcune anteprime dal 2 agosto 2021 e poi su tutto il territorio nazionale dal 18 agosto.
- Quindi uno non può capire perchè non ha le competenze necessarie.
- Donne che avevano improvvisamente “cambiato sesso”, atleti-uomini che sottoponendosi come “cavie” ai test farmaceutici del laboratorio di Lipsia e dintorni, avevano contratto tutti i tipi di patologie a cominciare dai tumori al pancreas, al fegato e le leucemie.
Riarreda con il suo innato gusto la Casa Bianca e persino l’Air Force One, l’aereo presidenziale che all’occorrenza (ma anche di questo Jackie era al corrente) si trasforma in alcova e dove anche Marylin era salita a bordo più volte, infagottata per mitigare le sue esplosive morbidezze e con parrucca nera. Quando Jackie nel 1955 scopre la relazione fra suo marito e una splendida svedese di nome Gunilla von Post iniziata nel 1953 dieci giorni prima delle nozze e mai interrotta, chiede il divorzio. Dieci giorni prima del matrimonio, ad abito quasi ultimato, nell’atelier della sarta esplose una tubatura e l’acqua fuoriuscita rovinò irrimediabilmente l’abito da sposa di Jackie.
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La squalifica di otto anni resta, non c’è la possibilità di rifare il processo e di annullare lo stop. Per tornare a marciare, per inseguire la gloria sulle strade di Tokyo, Schwazer dovrà chiedere la grazia al Cio. La notizia dell’archiviazione l’ha appresa, “come un altro figlio https://aromatasi-info.com/product/exemestane/ che nasce”, mentre Sandro Donati, l’allenatore che per Alex è come “un secondo padre”, ha rivelato. L’ho tenuto a un livello non molto elevato ma in una condizione tale che, se dovesse arrivare giustizia pure in ambito sportivo, potrebbe essere pronto per i Giochi di Tokyo.
Gabriele e Michele Bianchi sarebbero diventati due carogne manesche anche senza conoscere arti marziali; non lo sarebbero diventati, forse, se qualcuno li avesse raddrizzati per tempo debito. Morire in pista per un incidente in moto fa parte per l’appunto degli “incidenti”. Correre in moto non significa che sicuramente ci si farà del male.
Se sfortunatamente si resta schiacciati sotto un bilanciere è un incidente, analogo a quello del motociclista. Ma se il motociclista fosse salito sulla sua moto strafatto di coca per sentirsi più carico, per avvertire in modo meno marcato il pericolo e quindi lanciarsi in manovre folli che poi lo conducono alla morte, allora non è stato esattamente un incidente. Era un evento prevedibile, quasi scontato, solo questione di tempo. Morire per i danni causati dal doping corrisponde a questo, non alla caduta in moto.
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In un ambiente in cui si persegue la perfezione fisica – reinterpretando in chiave muscolare il motto olimpico “più veloce, più alto, più forte” – l’assunzione di steroidi è la regola. Le sostanze anabolizzanti, non ancora illegali, finiscono in breve tempo sotto il controllo della mafia, precisamente nel mirino di due clan newyorkesi, i Colombo e i Gambino, i più lesti a capitalizzare il traffico del doping. Krieger, 34 anni, è stato ascoltato come testimone nel processo contro i due principali responsabili della pratica del doping di stato della Ddr, Manfred Ewald ex presidente della Federazione tedesca di ginnastica e sport e Manfred Hoeppner ex direttore del Servizio di medicina sportiva della Ddr.
Lo dicono tutti, e lo dicono anche quelli che si dopano, a prescindere da quale sport praticano. Chi può dire se leggere i classici sia uno stile di vita migliore o peggiore che fare paracadutismo? Ed il fatto di fare paracadutismo significa che non ci si possa esprimere su quanto è noioso un libro solo perchè non si è scrittori a propria volta? Se non ci si dopa non si può comprendere il doping e quindi non lo si può giudicare?
Per la community CDMO (aziende che sviluppano e producono farmaci “per conto” delle grandi multinazionali), la fornitura di vaccini, unita a una ripresa degli investimenti nella pipeline di sviluppo, indica che i prossimi 12 mesi saranno probabilmente i più redditizi in termini di incontro di nuovi clienti anche per i piccoli player. Quindi un momento favorevole per CPhI Worldwide che sarà in grado di garantire. La chiave per supportare la crescita del settore è ovviamente incontrare i partner strategici, per questo riteniamo che la manifestazione possa avere un ruolo cruciale”. TUTTE VICENDE accattivanti, scritte con uno stile sobrio, con le loro sfide alle convenzioni, mettendosi «dalla parte giusta» della storia, presenti nei ricordi collettivi di più individui che in quanto battaglie di civiltà e dignità meriterebbero di essere ascoltate e studiate sui banchi di scuola.
Da anni in America la legge vieta l’uso di sostanze anabolizzanti, ma l’ipocrisia della società statunitense su un fenomeno così pervasivo è ancora molto forte. A denunciarla è stato nel 2008 il regista Chris Bell, che nel documentario Bigger, Stronger, Faster, partendo dall’esperienza dei suoi due fratelli cresciuti nel mito di Schwartzenegger, ha esaminato la penetrazione degli steroidi in ambienti insospettabili. Oggi gli anabolizzanti sono usciti dalle palestre per diventare la nuova droga di manager, militari in missione ma anche uomini e donne comuni, che li utilizzano a mo’ di cura estetica, quasi vent’anni di verità sui loro effetti collaterali non fossero mai passati. Purtroppo, è risaputo, i morti non parlano, se davvero prima di ammalarsi di cancro o prima di avere un infarto uno potesse scegliere tra la vita e la morte, potesse tornare indietro, lo farebbe.
Se la vittima è morta di cancro qualcuno dirà che non si può sapere se sia stata colpa delle sostanze dopanti (che il cancro lo provocano) perchè anche tante altre persone si ammalano di cancro, e non sono mica tutti dopati! Se ha avuto un infarto (e il doping può provocarlo) si dirà che l’infarto colpisce tante persone, non lo si può ritenere con certezza causato dal doping. Tutto questo accanirsi a trovare un’altra risposta, un’altra ragione, questo affanno a fare la difesa d’ufficio (a cosa, alla morte?) a seconda di chi lo esprime può essere compreso e talvolta spiegato con la pietas umana.